Nel pensare al rapporto tra fotografia e Street art la prima evidenza è la funzione documentale che la fotografia assume verso questa espressione artistica, la cui più nota caratteristica è la limitata durata temporale. Con la fotografia le opere possono oltrepassare lo scorrere del tempo ed essere conosciute anche dopo la loro scomparsa. Inoltre, tramite l’adeguata documentazione fotografica, si è nelle condizioni di studiare l’opera sia dal punto di vista formale e tecnico, sia dal punto di vista semiotico, potendo anche progettare eventuali azioni di conservazione, poiché alcune opere possono essere, per il loro valore storico e artistico, preservate e restaurate. La fotografia ha anche il merito di delocalizzare la Street art, portandola in giro per il mondo.
Tra le recenti mostre si ricorda quella dedicata a una delle più importanti fotografe di Street art, Martha Cooper, organizzata nel 2015 per il Festival Memorie Urbane. La sua lunga relazione con la subcultura urbana dei graffiti è stata rappresentata da una mostra che ha dato l’occasione di conoscere molti contesti di writing oggi scomparsi o sostituiti. Nel caso di mostre, libri di fotografia o stampe fotografiche dedicate alla Street art, ci troviamo di fronte alla possibilità della moltiplicazione dell’opera tramite un medium che ne riproduce l’immagine, trasportando il segno in una dimensione chiusa, tipica delle opere da galleria o museo.
È come se la Street art nella sua trasposizione fotografica subisse una mutazione, decontestualizzandosi e innescando un passaggio interpretativo dei suoi stessi contenuti. Ogni scatto, caratterizzato dalle diverse tipologie di ripresa – frontale, quella più utilizzata, laterale, di contesto, che mette in relazione l’opera con l’ambiente circostante, dall’alto ponendo in relazione parti molto ampie del tessuto urbano con opere generalmente di grandi dimensioni e dal basso, valorizzando murales su facciate di palazzi con un imponente sviluppo in senso verticale – frammenta l’opera in una variante di se stessa, nuova parte significante di quell’unità possibile solo nel rapporto con il contesto urbano. Ma possiamo invertire la prospettiva. Ogni ripresa è una visione. È la capacità della fotografia, in quanto mezzo specifico, di focalizzare le possibilità di dialogo che l’opera instaura con il contesto urbano. Questa stretta relazione, tipica delle opere site specific, è intrinseca all’opera urbana, dipinta sulle superfici più disparate. Ogni superficie ha la sua dimensione relazionale. La forma e il contenuto dell’opera non possono prescindere da essa.
Il mezzo fotografico, già negli anni delle avanguardie, è stato oggetto di sperimentazione nella visione dello spazio, in special modo in rapporto all’architettura e al contesto urbano. La ripresa dall’alto è stata una delle innovazioni più interessanti in rapporto alla nuova visione della città che si trasforma in metropoli. Sono centro di questa ricerca le immagini della statunitense Berenice Abbot, del russo Aleksandr Rodčenko, del tedesco Umbo e dell’ungherese André Kertész. La ricerca del punto di vista rialzato era una osservazione da condurre anche in senso geografico e spaziale, poiché era necessario trovare dei luoghi in cui poter salire fisicamente ad una certa altezza. Del resto le prime immagini aeree erano state scattate da Nadar a bordo di un pallone aerostatico nel 1858. Ma nelle grandi metropoli in espansione tra gli anni ’20 e ’30 del ‘900 bastava salire su uno dei alti palazzi in costruzione, a New York su un grattacielo, e poter vedere tutto il movimento della città che sale.
Oggi, grazie all’evoluzione tecnologica, per fare riprese dall’alto non è necessario trovare un luogo fisico che lo permetta, basta avere un aeromobile a pilotaggio remoto, comunemente chiamato drone. La fotocamera posta sull’aeromobile è telecomandata da un qualsiasi dispositivo digitale. Questa possibilità abbatte il confine tra cielo e terra, permettendo all’uomo di estendere la propria vista a un punto inaccessibile, se non con lo spostamento fisico su un mezzo aereo. Il drone è l’estensione dei nostri occhi, che volano e si appropriano di una nuova visione. La fotografia in questi termini non è più solo documentazione, ma è anche mezzo di progettazione, poiché permette di individuare spazi nodali in cui inserire le opere di Street art.
Non più solo muri e grandi facciate, ma terrazzi di diverse forme, piazze che si incuneano nelle più trafficate vie, campi sportivi in mezzo ai palazzi o in grandi distese, grandi incroci stradali, scalinate monumentali. Diversi artisti lavorano in questo campo d’azione. I personaggi di Ella & Pitr, duo francese, si adagiano sui tetti di grandi fabbricati oppure si posano nelle forme curve degli incroci stradali.
I ritratti dell’artista francese Jr (fotografici e stampati come poster a formare grandi collage) sfondano facciate, grandi piazze, tracciano spazi sotto ponti, aprono scalinate, navigano sul Canal Grande a Venezia, con gli occhi dei visi di centinaia di persone. Questi ritratti e figure ribaltano la proporzione tra città e uomo, come se arrivasse Pantagruel, si sedesse nello spiazzo di un megaparcheggio e iniziasse a giocare a dama con le automobili.
Invece, artisti come gli italiani Andreco e Tellas, con ricerche di carattere ambientale in rapporto al carattere antropico del territorio, hanno riempito terrazze e campi da gioco tra i palazzi, con forme di derivazione vegetale e minerale.
La funzione di riqualificazione è evidente in operazioni come quelle di Camilla Falsini a Milano, in cui il colore e la composizione geometrica disegna il nuovo spazio destinato alla condivisione.
Sempre di grande impatto il tracciato grafico del francese L’Altlas, perfetta sintesi di writing e geometria con una importante componente performativa.
Anche l’impegno sociale è incluso in questa nuova prospettiva dall’alto e in questo caso diamo uno sguardo alla Sardegna con le opere di Manu Invisible, suI terrazzo esagonale del centro di aggregazione sociale Exmè a Cagliari, e di Ruben Mureddu ad Alghero sul tetto della Scuola primaria Asfodelo.
Se la fotografia ha permesso all’uomo di vedere diversamente il circostante e continua a procedere, con l’evoluzione tecnica in digitale, su questa via, possiamo dire che il suo incontro con l’arte urbana ha permesso di abitare spazi che prima d’ora non erano destinati all’intervento artistico, dandone una nuova percezione in relazione al grande organismo che è l’ambiente urbano contemporaneo, dove l’uomo e la natura sentono pressante l’esigenza di riappropriazione e socializzazione.
Ivana Salis
Photo credits
ELLA & PITR © / E. Parlefort ©
Tellas / Simone Di Gioia
Camilla Falsini / JUNGLE Agency
Manu Invisible / Enrico Lecca
Ruben Mureddu / SPAZIO – T
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