Il percorso grafico che conduce a possibili luoghi di comunità
Case sospese nel tempo è la mostra personale di Maria Francesca Angius
ospitata allo Spazio e Movimento dal 16 al 30 marzo 2024.
Curatela e testo critico sono di Ivana Salis, fotografie di Massimiliano Frau
e progetto grafico di Alice Agus.
“[…] La vostra casa non sarà l’ancora, ma l’albero della nave. Non una membrana luccicante che copre una ferita, ma una palpebra a difesa dell’occhio. Non chiuderete le ali per passare attraverso le porte, né piegherete la testa perché non batta contro il soffitto, né avrete paura di respirare perché le pareti non possano scricchiolare e cadere. Non vivrete in sepolcri edificati dai morti per i vivi. E sebbene la vostra sia una casa magnifica e splendida, essa non serberà il vostro segreto, né darà riparo alle vostre aspirazioni.
Poiché ciò che in voi non ha confini, dimora nel castello del cielo, la cui porta è la foschia del mattino, e le cui finestre sono i canti e i silenzi della notte”.
Le parole di Kahlil Gibran, scrittore e poeta libanese, tratte dal suo libro “Il profeta” (1923), sono metafora dell’armonia tra lo spazio umano e la natura; armonia raggiunta solo se figli dell’aria, liberi dalla brama di ricchezza e ostentazione del benessere. Allora le case non saranno gabbie dorate, ma forme a immagine e protezione dei nostri corpi e delle nostre fragilità.
In questa mostra l’artista Maria Francesca Angius, con un percorso di carattere animista si muove tra reminiscenze e visioni, tracciando un alfabeto iconografico di segni mnemonici, dove la linea percorre la ricerca costruttivista della forma-casa.
Con la china, su carta e tela, con tocchi d’acquerello, rigorosamente in bianco e nero, riporta forme circolari a segnare il tempo che torna ogni giorno sulla stessa ora del passato, ma nel presente del suo farsi induce a considerare l’avvenire.
La radice, che senza soluzione di continuità, si trasforma in ramo, e poi materialmente in albero, è l’installazione che accoglie le case sospese nel tempo. La casa è il simbolo che l’artista adotta per dare allo scorrere degli avvenimenti un punto fermo, un luogo da cui guardare dentro quella bolla del tempo, e trovare non di certo risposte, ma accettazioni. La connessione con la cavità, la pietra e la terra, la prima casa, ventre della madre, accoglie la scrittura automatica, segno grafico caratteristico dell’artista, che configura forme liquide, dove la china si condensa nel nero erodendo metaforicamente la grafia.
Il nero si trasforma in solide forme, di roccia ancestrale e ciotoli conglomerati, sostenuti e percorsi da radici-ramo, che unendosi in compaI solidi, si adagiano sui morbidi fianchi delle colline, oppure stanno sospesi nell’aria come foglie, come figli che volano via staccandosi dalla casa madre. Resta quell’insieme di pietre, che unite in una sola forma, è memoria del passato e costruzione collettiva del futuro.
Ivana Salis